Rimborso del TFR e del proprio stipendio
Fondo di Garanzia Inps
Fondo di Garanzia Inps
La crisi economica attuale fa sì che spesso le aziende abbiano difficoltà o non riescano proprio a garantire ai propri dipendenti il pagamento del trattamento di fine rapporto (art. 2120 Codice Civile) e, magari, nemmeno delle retribuzioni; a volte accade che, anche provando a recuperare in modo forzoso il credito (ad esempio, con una diffida, un decreto ingiuntivo ed un pignoramento), la ditta non abbia beni sufficienti per soddisfare la legittima pretesa del lavoratore, oppure che, anche una volta completata tutta la procedura di recupero, l’azienda sia ormai fallita o comunque soggetta a qualche altra procedura concorsuale.
Cosa può fare in quel caso il lavoratore? Egli dispone di un efficace rimedio; esiste infatti uno strumento che permette all’ex dipendente di recuperare il proprio TFR e le ultime tre mensilità di lavoro anche se l’azienda risulta fallita o comunque in stato di insolvenza e prossima alla chiusura.
Due sono i principali riferimenti normativi: la Legge n. 297/1982 (e successive modifiche) ha istituito, presso l’INPS, il Fondo di Garanzia che si sostituisce al datore di lavoro insolvente per assicurare il pagamento del TFR, indipendentemente dalle vicende negative che possono colpire l’azienda.
Con il successivo D.lgs. n. 80/1992, l’intervento del Fondo è stato esteso anche ad altri crediti da lavoro, nello specifico le retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi di rapporto.
Possono presentare domanda tutti i lavoratori che abbiano cessato un rapporto di lavoro subordinato, compresi anche i dirigenti di aziende industriali, i soci delle cooperative di lavoro e gli apprendisti.
È bene precisare che, in caso di morte del lavoratore, l’intervento del Fondo può essere richiesto dai suoi eredi (in primis, coniuge e figli).
Cosa può recuperare il lavoratore? Abbiamo detto che possono essere recuperati attraverso il Fondo il trattamento di fine rapporto e le ultime tre mensilità dovute a titolo di retribuzione e non pagate.
A questo punto, però, si aprono due possibili scenari: la legge infatti distingue la procedura a seconda che l’impresa sia sottoposta (o sottoponibile) ad una procedura concorsuale ai sensi della Legge Fallimentare (Regio decreto n. 267/1942 e succ. modifiche) oppure non lo sia.
Nel caso in cui il datore di lavoro sia soggetto a fallimento, l’accesso al Fondo di Garanzia è sempre subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro; inoltre, il credito del lavoratore deve risultare preventivamente accertato, e tale accertamento si ottiene attraverso l’ammissione al passivo del fallimento.
In altri termini, l’ex dipendente deve presentare al Tribunale – meglio se con l’aiuto di un difensore – una domanda di insinuazione al passivo, dopo di che il Giudice delegato accerterà in modo definitivo l’ammontare del credito ed il Fondo – una volta presentata la domanda corredata della necessaria documentazione, tra cui anche il modello SR52 firmato dal responsabile della procedura – potrà corrispondere al lavoratore l’importo così stabilito.
Se il lavoratore ha concluso il rapporto di lavoro prima dell’apertura della procedura concorsuale, il Fondo di Garanzia liquida le ultime tre mensilità, a patto che rientrino nei 12 mesi antecedenti la data della domanda finalizzata all’apertura della procedura stessa (ad esempio, in caso di fallimento, i 12 mesi decorrono a partire dal deposito del ricorso che ha poi portato alla dichiarazione di fallimento).
La legge prevede precise tempistiche per la presentazione della domanda all’INPS, ma in questa sede è bene ricordare soprattutto i termini di prescrizione; infatti, la richiesta di intervento per il TFR dev’essere presentata entro 5 anni dalla chiusura della procedura concorsuale.
Nel caso in cui, invece, il datore di lavoro non sia assoggettabile a fallimento, ma sia comunque inadempiente, il lavoratore potrà chiedere l’intervento del Fondo solo dopo l’esperimento di un’esecuzione forzata senza esito positivo e laddove non esistano altri beni potenzialmente aggredibili.
Ciò significa che egli dovrà dimostrare di aver tentato un’azione esecutiva (sulla base di un titolo, ossia una sentenza o un decreto ingiuntivo che accerti il proprio credito), a seguito della quale le garanzie patrimoniali del datore di lavoro si siano rivelate in tutto o in parte insufficienti.
Tale possibilità è stata prevista proprio per poter tutelare il lavoratore anche quando l’insolvenza dell’impresa sia accertata in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali; oltretutto, la giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso di garantire al lavoratore la liquidazione del TFR non solo quando il datore non sia per legge sottoponibile a fallimento, ma anche quando non lo sia in concreto (magari a causa della modesta entità del debito azionato con l’istanza di fallimento), a patto, però, che sia stata tentata un’azione esecutiva infruttuosa.
Al di là delle modalità di recupero delle somme dovute, bisogna comunque ribadire che, in generale, il mancato pagamento degli stipendi da parte dell’azienda, attribuisce al lavoratore la piena facoltà di dimettersi per giusta causa, ossia senza alcun obbligo di preavviso; infatti, trattandosi di un caso particolare nel quale il dipendente si trova per così dire “costretto” a dimettersi, non ricevendo la propria retribuzione, sarà il datore di lavoro a dovergli corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso.
Oltretutto, è bene ricordarlo, il lavoratore che si dimette per giusta causa ha diritto di richiedere l’indennità di disoccupazione (Naspi), ricorrendo gli altri requisiti di legge; a tale fine, dovrà però allegare anche una propria dichiarazione e documentazione con la quale mostri la propria volontà di difendersi in giudizio.
Fatte queste dovute premesse, è bene che il lavoratore si affidi ad uno Studio Legale affinché attivi le dovute procedure non solo per la comunicazione di dimissioni, ma anche per cercare di recuperare il credito.